Durante la prima amministrazione di Donald Trump l’Atlantismo non aveva dato segni di cedimento, o quanto meno riuscì a superare la dura sfida a cui il Tycoon newyorkese l’aveva sottoposto. Adesso le cose sono cambiate: l’alleanza atlantica è in forte discussione e gli europei sono giornalmente messi sotto minaccia dalle dichiarazioni del presidente degli Stati Uniti che, ormai, considera l’Europa suo nemico. Nel suo ritorno alla Casa Bianca Trump appare più cinico e proiettato sull’ “American First”: l’Europa non è presente nel suo disegno politico. Trump la dipinge come un’approfittatrice, ad aver beneficiato soltanto lei degli scambi commerciali con gli USA, di non aver contribuito quanto gli Stati Uniti alla difesa dell’Ucraina.

L’Unione Europea si trova davanti al suo momento di verità: sarà in grado di rendersi autonoma politicamente e mobilitare una difesa comune ora che l’ombrello americano sembra che stia per chiudersi? Viene il rammarico per il tempo perso se si pensa a come già nel 2017 l’ex cancelliera Angela Merkel aveva compreso delle divisioni che stavano nascendo tra USA e Ue, e che questo avrebbe comportato, inevitabilmente, una storia europea separata da quella di Washington: “Noi europei dobbiamo davvero prendere in mano il nostro destino”, disse la Merkel al termine di un incontro del G7 a Taormina. Peccato che, in questi otto anni, si è fatto poco o nulla.

 “Voglio credere che gli Stati Uniti resteranno al nostro fianco, ma dobbiamo essere pronti se non sarà così […] Gli Stati Uniti, nostro alleato, hanno cambiato posizione sull’Ucraina e lasciano planare il dubbio sul futuro. La nostra prosperità e la nostra sicurezza sono diventate più incerte. Stiamo entrando in una nuova era”, queste sono parole del presidente francese Emmanuel Macron  in un discorso che ha tenuto alla nazione alla vigilia del vertice straordinario di Bruxelles che si è svolto mercoledì scorso. In sostanza, Macron ha avvertito gli europei di considerare gli Stati Uniti, oramai, un nemico dell’Europa. La commissione di Ursula von der Leyen tuttavia predicare prudenza, parlando degli USA come di un partner indispensabile per l’Europa, posizioni che trovano pieno appoggio da alcuni leader come quello belga Bart De Wever, che giudica “irrealistico immaginare di essere capaci di agire senza il sostegno degli Stati Uniti”.

Dei primi sforzi di autonomia politica in chiave militare l’Europa li aveva già intrapresi con il vertice di Versailles del marzo del 2022, a un mese dallo scoppio della guerra in Ucraina: un incontro tra i capi di Stato Europei che posero al centro del dibattito la sovranità europea; ma questa volta il consiglio straordinario di Bruxelles ha messo sul piatto progetti politici concreti, potenzialmente di impatto storico per il futuro dell’Europa, che porrebbero le basi per la costituzione di un organismo di difesa comune europeo. Il piano di finanziamento per il riarmo ha preso il nome di “ReArmEurope”, e permetterà agli stati membri dell’UE di aumentare la propria spesa militare fino al 3% del PIL, e porre le basi per una difesa comune su scala continentale. Il consiglio dei 27 ha ragionato su due temi: il sostegno all’Ucraina e la difesa europea: il testo sulle conclusioni sulla difesa europea è stato approvato all’unanimità, mentre a quello sull’Ucraina l’Ungheria ha posto veto (non sono una novità le posizioni filorusse di Viktor Orbán).

La presa di coscienza che la Nato abbia fatto il suo tempo e le ostilità di Trump hanno obbligato l’Europa  a guardare in faccia la realtà: le proposte all’interno di ReArmEurope possono sembrare radicali, ma potranno essere credibili soltanto se verranno messe in pratica e se la volontà politica dell’Ue sarà unica. Ma quanto è praticabile un aumento della spesa militare per gli Stati europei? Non sono pochi i paesi europei che devono convivere con opposizioni politiche contrarie a un aumento della spesa militare, vista come la condizione per un conflitto su scala mondiale nel Vecchio Continente: partiti come AfD (Germania) o l’estrema destra Rassemblement National (Francia), creano tensione negli equilibri dei loro paesi su questa retorica. Bisogna inoltre tener conto dei limiti strutturali di bilancio a cui alcuni paesi come Spagna e Italia sono vincolati, uno sforzo economico che non sarebbe di certo di poco conto.

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