La Polonia dal 1° gennaio ha assunto la presidenza di turno del Consiglio dell’Unione europea. Il tema che intende sviluppare lungo il suo mandato è inequivocabile: sicurezza. Il primo cittadino polacco Donald Franciszek Tusk intende affrontare il tema della sicurezza in sette declinazioni, non a caso perfettamente sovrapponibili in una prospettiva politica europea: difesa militare, protezione delle frontiere, resistenza alle interferenze straniere e alla disinformazione, economia, energia, agricoltura e sanità. Per Tusk i temi che interessano la Polonia interessano necessariamente l’Ue. C’è da chiedersi se anche dalle parti di Bruxelles si percepisca una sensibilità simile sull’argomento.
La Polonia si sta dimostrando uno dei pochi Stati membri dell’Ue ad aver avvertito il pericolo che costituisce la Russia di Putin. L’intento di Tusk è quello voler informare e preparare l’opinione pubblica europea sui rischi che sta correndo. Un compito che sta incontrando non poche difficoltà, visti i successi elettorali che i partiti pro-Putin stanno avendo lungo tutto il continente: in Ungheria e Slovacchia i pro-russi Viktor Orban e Robert Fico guidano stabilmente l’esecutivo; in Austria il leader del partito di estrema destra della FPO Herbert Kickl sta ottenendo sempre più consenso, stando ai sondaggi. In Paesi apparentemente più impermeabili dalle interferenze russe come Spagna o Italia, la strategia di Putin è stata quella di alterarne gli equilibri socioeconomici: i rincari energetici hanno generato un forte malcontento tra i cittadini, che si domandano sempre più preoccupati quanto a lungo possa essere sostenibile il sostegno ucraino.
Come prima mossa in chiave anti-Putin, Tusk in una conferenza stampa di giovedì ha ribadito la necessità del sostegno all’Ucraina in chiave di sicurezza europea, lasciandosi scappare una battuta verso il ritorno di Donald Trump, che potrebbe mettere in discussione la difesa del paese guidato da Volodymyr Zelensky: “se tutti i Donald avessero le mie opinioni sulle garanzie di sicurezza per l’Ucraina, lo scenario sarebbe molto più semplice” ha così commentato il primo cittadino polacco.
La Polonia nel 2025 spenderà il 4,8% del PIL per spese militari, una cifra ben superiore al target del 2% da sempre indicato dalle cancelliere e gli osservatori europei come un livello di spesa accettabile per la difesa del continente. Con questa mossa l’intento di Tusk è chiaro: spingere tutti i paesi dell’eurozona ad aumentare il loro livello di spesa in ottica di difesa dalle minacce russe: “non può più esserci clemenza con i paesi che spendono l’1 o l’1,5% “, ha detto il premier polacco. Se per alcuni paesi europei il raggiungimento di un livello di spesa superiore al 4% resta un’utopia, a Bruxelles è vivo il dibattito per mettere in pratica uno strumento di debito comune in grado di finanziare gli aumenti di spesa militari, ma per ora è uno scenario assai lontano dalla sua realizzazione.
La Polonia procede oltre l’indecisionismo di Bruxelles e attua strategie politiche su diversi fronti. Il premier Tusk ha lanciato il progetto militare Eastern Shield (Scudo orientale), il cui scopo è prevenire una potenziale aggressione della Russia. Lungo il confine con la Bielorussia, la Polonia ha instillato denti di drago e altri ostacoli per bloccare un eventuale attacco cinetico. L’obiettivo di Tusk è chiarissimo: essere in grado di rispondere ad attacchi occasionali o “errori di calcolo” russi. Una strategia che, effettivamente, si discosta dall’opinione di molti leader europei, i quali considerano improbabile un’aggressione su scala continentale da parte della Russia. Negli ultimi giorni della sua presidenza, Olaf Scholz sta conducendo la sua campagna elettorale presentandosi come il leader che eviterà a tutti i costi che la Germania venga trascinata in una guerra. Anche il presidente del consiglio italiano, Giorgia Meloni, pratica una politica di “attenuazione” degli allarmismi, dove in passato ha criticato senza mezzi termini le iniziative politiche europee che vogliono preparare i cittadini a un conflitto armato.
Questo per evidenziare come le opinioni contrastanti sul conflitto russo-ucraino tra i ventisette dell’Ue impediscano una politica comune europea. Le divisioni tra i ventisette dell’Ue paralizzano l’azione politica di Bruxelles e alimentano le incertezze e le perplessità dell’opinione pubblica: uno scenario che rallegra sicuramente il Cremlino, e che con ogni probabilità si augurava (e ha ricercato) fin dall’inizio del conflitto.