A ormai un paio di settimane dalla conclusione della Cop29 che si è tenuta a Baku, in Azerbaigian, aleggiano dubbi e perplessità sui risultati ottenuti. Già prima del suo inizio, molti l’avevano considerata come una Cop “minore”, che poteva anche essere saltata. Non c’erano grandi aspettative e i risultati sono stati coerenti. Sicuramente, l’attuale contesto geopolitico, caratterizzato da guerre, crisi di ogni tipo e tensioni, ha fatto sì che non figurasse in cima all’agenda politica e venisse percepita invece come “silenziosa”; un silenzio che in realtà suona più come un brusio di sottofondo nelle coscienze di coloro che sono chiamati a negoziare gli sforzi globali per raggiungere l’ambizioso obiettivo di mantenere l’innalzamento della temperatura media globale sotto i 2°C rispetto ai livelli-preindustriali. Una soglia determinante oltre la quale l’incolumità dell’intero Pianeta verrebbe messa a repentaglio. Perciò, quella al cambiamento climatico, anche se non viene combattuta con le armi, non è una lotta meno importante delle altre.
Un altro elemento che ha pesato sulla Cop è stata l’assenza di molti leader delle principali potenze al mondo, quali il presidente americano uscente Joe Biden, il presidente francese Emmanuel Macron, il cancelliere tedesco Olaf Scholz e il presidente cinese Xi Jinping. A complicare la situazione è il ritorno alla guida della prima economia mondiale (e il secondo paese più inquinante) di Donald Trump, un negazionista climatico che minaccia il ritiro degli Stati Uniti dall’ Accordo di Parigi, come già accaduto nel suo primo mandato. L’uscita degli USA porrebbe grandi interrogativi sulla stabilità e sulla credibilità dell’Accordo, creando un effetto domino sugli altri Paesi che potrebbero sentirsi meno vincolati agli impegni.
Anche la scelta di un paese petrolifero come host, sebbene non sia una scelta inedita, (basta vedere Dubai nel 2023 ed Egitto nel 2022) ha sollevato delle perplessità: l’economia dell’Azerbaigian poggia sulla produzione di combustibili fossili. È conosciuta come la “terra dei fuochi”, dalle fiamme spontanee che si sprigionano dal terreno per la presenza di gas nel sottosuolo. In più, il Presidente İlham Əliyev recentemente ha dichiarato che “gli idrocarburi sono un dono di Dio e che sosterrà i paesi affinché possano continuare ad estrarre le energie fossili”: tutte premesse che suggeriscono che non sia un terreno fertile per far avanzare le trattative climatiche. Tuttavia, lo stesso Presidente, ha anche affermato che “Baku è un ponte per ricostruire la fiducia tra i Paesi del Sud e quelli del Nord che è stata fortemente compromessa in questi ultimi anni”.
La Cop di Baku è stata una Cop finanziaria. Il focus, quindi, è stato quello di stabilire un nuovo obiettivo di finanza per il clima, conosciuto come New Collective Quantified Goal (NCQG), ossia la quantità di denaro che i Paesi sviluppati devono fornire ai Paesi in via di sviluppo per aiutarli ad adattarsi ai cambiamenti climatici e a ridurre le emissioni di gas serra. Questo finanziamento da Nord verso Sud non avviene per “altruismo” (i Paesi non fanno carità), ma per responsabilità storiche: storicamente i Paesi del Nord hanno sempre inquinato di più, gravando sui Paesi del Sud che sono i più colpiti dal riscaldamento climatico, ma che ne sono anche i meno responsabili.
I negoziati hanno dato come risultato finale quello di raccogliere 300 miliardi di dollari all’anno, provenienti da fonti pubbliche e private, entro il 2035. Questo impegno segna un progresso rispetto ai 100 miliardi fissati alla Cop15 di Copenaghen fino al 2025. Guardando però l’altra faccia della medaglia, la soglia è molto lontana dai 1300 miliardi auspicati dai Paesi in via di sviluppo del G77+Cina. Il testo finale comunque lancia un appello a tutti gli attori, senza imporre alcun obbligo in capo alle nazioni ricche. Si tratta di un punto di svolta che implica che, per la prima volta nella storia delle COP, adesso sono chiamati a contribuire anche paesi come la Cina. Tuttavia, il contributo rimane su base volontaria e privo di vincoli. Oltre a ciò, sono state introdotte due novità significative: una roadmap di attività che guiderà le iniziative fino alla Cop30 di Belém per stabilire come mobilitare i 1300 miliardi di dollari all’anno e una revisione dei nuovi obiettivi di finanza climatica già nel 2030.
Sono state approvate anche le norme dei mercati internazionali del carbonio, previsto dall’articolo 6 dell’Accordo di Parigi, uno strumento basato sullo scambio di “crediti di carbonio” volto ad incentivare la riduzione delle emissioni e a promuovere la cooperazione internazionale.
Deludenti invece i risultati del Mitigation Work Program, che si concentra sulle azioni necessarie per limitare l’innalzamento della temperatura media globale attraverso la riduzione e, infine, l’azzeramento delle emissioni di gas serra: nel testo finale scompaiono i riferimenti all’ Accordo di Parigi, all’obiettivo a lungo termine di emissioni nette zero, ai rapporti dell’IPCC e alla riduzione delle emissioni di gas serra del 43% entro il 2030 e del 60% entro il 2035 rispetto ai livelli del 2019.
Davanti alla triplicazione degli aiuti finanziari, parlare di fallimento è spropositato; se si guardano però gli obiettivi auspicati, allora il punto di vista cambia. È doveroso riconoscere però, che la richiesta da parte dei paesi sviluppati di 1300 miliardi di dollari era irrealizzabile e ne eravamo coscienti anche da prima dell’inizio della Cop di Baku. Tuttavia, il Segretario Esecutivo dei Cambiamenti Climatici delle Nazioni Unite Simon Stiell, nel suo discorso di chiusura si è dimostrato soddisfatto degli accordi raggiunti e ha definito l’NCQG come una polizza assicurativa per l’umanità.
I Paesi in via di sviluppo invece ne escono con l’amaro in bocca, insoddisfatti del quantum degli accordi finali, ritenuto insufficiente. Climate Action Network, uno dei più accreditati osservatori delle politiche climatiche, “respinge categoricamente l’esito della Cop29”, sostenendo che la cifra finale del NCQG è “del tutto inadeguata”. Anche il WWF ha criticato duramente l’accordo siglato, definendolo un fallimento, sia per la somma insufficiente dei finanziamenti, sia per il mancato messaggio sulla riduzione delle emissioni e sull’eliminazione dei combustibili fossili.
Tutto sommato, ci sono stati dei progressi, ma il “tutto sommato”, in questa emergenza climatica non basta. Gli occhi sono già puntati alla Cop30 di Belém, già definita la “Cop delle Cop” a dieci anni dagli Accordi di Parigi, dove si cercherà di trattare le questioni lasciate in sospeso a Baku.