Reciprocità, cooperazione ma anche spazi per le imprese italiane. Cosa si sa del Piano in vista della Conferenza per l’Africa.
L’inizio di un “nuovo approccio non predatorio” oppure una “scatola vuota”. Il Piano Mattei, intanto, è legge e certifica una ripresa di slancio nell’azione diplomatica italiana in uno degli scenari più complessi ma anche determinanti per gli equilibri mondiali. Del piano che porta il nome di uno di quei dirigenti che hanno fatto grande l’Italia si è iniziato a parlare circa un anno fa, in occasione della visita di Meloni in Algeria, prima e privilegiata sponda per l’Italia nel Continente africano; del resto, proprio l’Italia contribuì alla lotta per la liberazione del popolo algerino dal giogo del colonialismo e poi sostenne la stabilizzazione delle sue classi dirigenti. È proprio questa la reciprocità che ha fatto apprezzare l’Italia, pur reduce da un’esperienza coloniale. A darne attuazione sarà una cabina di regia che dovrà, inoltre, mettere insieme tutti gli attori coinvolti, dalla imprese agli operatori di pace.
Lato imprese italiane c’è chi già vede un’opportunità. E non potrebbe essere altrimenti visto che gli affari – non è una colpa fare impresa e guadagnare – si fanno anche e soprattutto intorno a rodati canali diplomatici. “Il modo di lavorare italiano – ha dichiarato il Presidente di Confindustria Assafrica Massimo Dal Checco – è completamente diverso e da questo anche il nome del Piano Mattei. Questo modo di non essere predatorio nel modo di fare business ha portato un riconoscimento molto importante sia in termini di crescita della società che di relazioni con le comunità locali. E questo modo di lavorare è un po’ la filosofia di questo Piano Mattei e quindi di riuscire ad avere grandi opportunità per le nostre imprese e creare una serie di relazioni con le persone africane che abbiano continuità nel tempo”. Assafrica cura gli interessi di oltre 140 imprese che operano nel contesto africano e mediorientale.
Nel frattempo, il Continente è solcato da una nuova ondata di scontri (spesso dimenticati), tensioni religiose di cui fanno le spese in larga misura le componenti cristiane, e colpi di stato. Un osservatorio attento come Africa Rivista ricorda il triste primato africano: dal 1950 al 2022 un totale di 214 colpi di stato di cui 106 riusciti. I colpi di stato dell’ultimo anno si sono concentrati nella faglia critica del Sahel, un tempo area esclusiva di Parigi. È segno di un vero e proprio smantellamento dei residui della France-Afrique, che apre a un “Renversement des alliances” nel quale l’Occidente fa da spettatore più che da protagonista attivo. È proprio l’Africa, infatti, il terreno nel quale le potenze che hanno ingaggiato uno scontro per l’egemonia mondiale, ovvero Russia e Cina (l’Iran non direttamente al momento, pur contando su cospicua presenza nel Mar Rosso), hanno incrementato la propria presenza, senza dimenticare la Turchia “neo-imperiale” di Erdogan che ha recuperato la tradizionale presenza dell’africa islamica. È chiaro che nei vuoti francesi può inserirsi anche l’Italia come è chiaro che una presenza accorta come quella italiana sia preferibile rispetto alle altre.
Da quanto si apprende, per ora, la presenza italiana si concentrerà secondo le classiche direttrici: la naturale sponda algerina e tunisina, con uno sguardo al puzzle libico, e quindi verso il Corno d’Africa, in particolar modo l’Etiopia dove, avvisa Africa e Affari, operano circa 150 imprese italiane.
Se c’è un punto sul quale sarebbe opportuno, nel solco della storia della cooperazione italiana, intervenire per accelerare la modernizzazione dell’Africa è quello delle infrastrutture. Le merci ancora transitano principalmente via strada anche se oltre il 40% delle strade non sono asfaltate e sono ben 16 i paesi africani senza affaccio sul mare. Ad oggi, le principali arterie di collegamento si concentrano lungo le aree più costiere e sempre occidentali: è il caso dell’asse Cairo-Dakar-Lagos (8600 km). Le direttrici interne, soprattutto per le avversità climatiche e geografiche, sono sottosviluppate: è il caso di quella lungo l’asse Dakar-N’Djamena-Djibouti o quella Lobito-Beira ma anche di quelle che rispettivamente da Tripoli e Il Cairo conducono a Capetown (10 mila km). Anche in questo caso il “capitale imprenditoriale” italiano può giocare un ruolo.
Tra Presidenza del G7 e la Conferenza sull’Africa (il 28 e 29 gennaio prossimi) l’Italia si gioca molto in questo anno sul piano internazionale. Gli scenari globali portano di incombenti minacce: la scarsità di risorse, sia di energia sia di cibo, e i conseguenti prezzi al rialzo, come l’inflazione, ma anche l’instabilità così tipica di un momento fluido e di passaggio. È bene iniziare a diversificare e a condurre un minimo di azione autonoma, pur nella cornice euro-atlantica che Giorgia Meloni coerentemente ha sempre coltivato, ma è bene anche iniziare a costruire una personale e italiana politica strutturale per il Continente africano. E l’esempio del Piano Mattei, qualora trovasse piena attuazione, potrebbe fare da apripista per altri scenari strategici di rilevanza per l’interesse nazionale. Uno su tutti quello del bacino danubiano…
Di Lorenzo Somigli